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"Un incisore parla del suo lavoro..."

Campodarsego, giugno 2005


Molto tardi ho cominciato a dedicarmi all’incisione calcografica, e il motivo è semplice: non ho mai potuto, nella mia infanzia e giovinezza, pensare di orientare le mie scelte verso un’occupazione artistica. Era urgente, per me, uscire al più presto dalla scuola per aiutare la famiglia con un lavoro, qualsiasi, purché portasse un contributo economico. Così è rimasto sempre, per lunghi anni dentro di me un proposito, un modo di guardare e osservare l’arte come se ogni emozione o sensazione della mia vita potesse essere rappresentata “artisticamente” e quando, finalmente!, è arrivato il tempo per poter pensare e dedicarmi all’arte le tecniche dell’incisione calcografica (acquaforte, acquatinta, puntasecca... ) sono diventate il mezzo per esprimere questo mio bisogno e una vera grande passione.



Facendo l’acquaforte mi lascio trasportare anche dal fascino della scoperta di questo procedimento quasi alchemico e mi sembra di tornare bambina quando, per gioco, provavo a fare miscugli di varie sostanze (bacche, polveri, terre, fiori, foglie, …) per inventare “qualcosa” di nuovo. E l’incisione, dopo il lungo procedimento tra lastre di zinco o di rame, vernici, acidi, inchiostri, punte… mi dona il risultato sempre magico e per me straordinario di rappresentare la bellezza, la luce, l’atmosfera particolare di un soggetto, soprattutto floreale, che incontro (o che mi ha particolarmente colpito) e che voglio fermare su un foglio di carta.
E’ lungo, per me, l’inizio di un’incisione! Deve arrivare dal fortunato incontro tra un’idea, un soggetto, un bisogno interiore. Devo sentirmi libera dalle preoccupazioni e doveri della quotidianità, ho bisogno di essere sola, e gli unici rumori ammessi sono quelli della natura che mi circonda: sono giornate veramente feconde quelle di pioggia o di nebbia autunnale o invernale.
L’avvio è un disegno a matita su carta che mette a fuoco il progetto, poi viene il passaggio su lastra sempre sofferto per la differenza dei materiali e perché mi sono invaghita del disegno così morbido e vellutato. Ho bisogno di tante ore di lavoro per ritrovare la “prima intenzione amorosa”, ma piano piano, segno dopo segno, anche la lastra comincia a “prendermi” e mi lascio trasportare con fiducia dal “suo” carattere liberandomi dal disegno iniziale e soffermandomi nella tessitura dei segni.

Un altro momento critico arriva con le “morsure”: qui l’ospite di riguardo da trattare veramente coi guanti è l’acido nitrico o il percloruro di ferro e in questa fase tutto diventa un’incognita. Dopo il primo bagno si perde l’effetto dei toni chiaro-scuri che la luminosità del metallo inciso offriva e bisogna affidarsi all’esperienza tenendo conto di quanto possono influire sulla buona riuscita delle morsure l’intensità dei segni, la temperatura dell’ambiente e il dosaggio dell’acido.
E’ un passaggio che richiede una grandissima concentrazione, programmazione e ordine nelle “coperture” tra i vari bagni. Alla fine la lastra non ha più niente della sua eleganza iniziale e sembra solo una sgradevole raccolta di vernice nera e bituminosa. Ma, … che momento emozionante quando si arriva alla pulizia e alla prima prova di stampa!

Un giorno, guardando le lastre, la mia amica Enrichetta mi ha improvvisamente chiesto “Luciana, perché fai incisione?” Mi è venuto spontaneo risponderle: “Perché è il mio rifugio dell’anima”.

 

Luciana Ecchiotti

 


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