GRAFICA
INCISIONI E POESIE
SCRITTI
GIARDINO
GIOVANNI PASCOLI Il libro con le incisioni e le poesie "A te né le gemme né gli ori
fornisco, o dolce ospite: è vero; ma fo che ti bastino i fiori che cogli nel verde sentiero, nel muro, su le umide crepe, su l'ispida siepe". G. Pascoli, Il fanciullino In occasione della mostra è stato pubblicato il libro "Il giardino nell'anima" che riporta le quindici incisioni esposte al Museo Casa Pascoli con a fronte i testi completi delle poesie che le hanno ispirate.
![]() La piccola raccolta di fiori e poesie è presentata da Stefano Brugnolo nella nota introduttiva "La bellezza minacciata dei fiori".
La bellezza minacciata dei fiori
Tra le molte ragioni di originalità proprie della poesia di Pascoli ce n’è una da cui voglio partire per commentare brevemente le acqueforti di Luciana Ecchiotti Dalbosco: con Pascoli entrano di diritto nella letteratura italiana tanti, tantissimi nomi di fiori, frutti, piante. Nomi che prima non s’erano mai sentiti nella nostra poesia, che tradizionalmente ammetteva nei suoi recinti solo poche specie, molto distinte e selezionate. Per capire meglio questa sua originalità, e per rendersi conto della consapevolezza che Pascoli aveva di questa sua originalità, ecco quel che il nostro poeta ha scritto un giorno che, passeggiando dalle parti di Recanati, gli erano tornati in mente i celebri versi di Leopardi «La donzelletta vien dalla campagna/ in sul calar del sole,/ col suo fascio dell’erba; e reca in mano/ un mazzolin di rose e viole»: «“Donzellette„ non vidi venire dalla campagna col loro fascio d’erba: non ancora la lupinella insanguinava i campi. Avrei voluto vedere il loro mazzolino, se era proprio “di rose e di viole„! Rose e viole nello stesso mazzolino campestre d’una villanella, mi pare che il Leopardi non le abbia potute vedere. A questa, viole di marzo, a quella, rose di maggio, sì, poteva; ma di aver già vedute le une in mano alla donzelletta, ora che vedeva le altre, il poeta non doveva qui ricordarsi». Come si vede, Pascoli corregge Leopardi. Le viole e le rose del grande poeta erano fiori aulici, nobili, fiori di carta, mentre quelli che amava Pascoli erano più umili – pratoline, lupinelle, ciclamini, ecc. – ma più veri. .
![]() .
![]() .
Che è proprio quello che ha fatto Luciana allorché s’è messa a leggere tutte le poesie di Pascoli. Anche lei ci ha ritrovato il mondo in cui era cresciuta. E queste sue acqueforti sono anche un omaggio commosso a quella realtà perduta. È questo che rende vive e interessanti le sue acqueforti, è questo che ci vieta di considerarle come ‘bei fiorellini’ fini a se stessi. C’è del pathos in questi suoi fiori, e questo pathos deriva proprio dalla lettura partecipe di Pascoli. D’altra parte però queste opere non vanno certo intese come illustrazioni di quelle poesie. Io direi invece che quel che Luciana ha tentato di riprodurre alla sua maniera è proprio il gesto amorevole di Pascoli verso quelle umili e fragili creature (che qui sono fiori ma che avrebbero anche potuto essere grilli, passeri, rondini, cinciallegre, ecc.). Forse ci può essere ancora utile una notazione di Heaney secondo cui la descrizione pascoliana dei campi, dei buoi, dell’improvviso trillare di un’allodola sono «rese in delicatissima miniatura, come se fossero un Libro delle Ore». Ebbene, è proprio questa delicatezza di sguardo di Pascoli che Luciana ha cercato di trasporre. Heaney parla di miniature medioevali, a me invece vengono in mente certe stampe giapponesi. Sì, c’è un aspetto ‘giapponese’ in Pascoli e io ho potuto tanto più coglierlo e apprezzarlo grazie a Luciana, che con questo ‘spirito giapponese’ s’è messa spontaneamente in sintonia. Io non sono certo un intenditore di arte figurativa nipponica ma certo sento in quegli artisti un grandissimo senso di rispetto per il mondo naturale, il rispetto che si deve a qualcosa pieno di grazia ma fragile. Che è lo stesso rispetto che ritrovo in Pascoli e ora nelle acqueforti di Luciana.
.
![]() .
Una acquaforte di Luciana si ispira alla poesia A riposo, dove Pascoli si immagina un vecchio Garibaldi a riposo che, stanco di guerra e eroismo, si dedica con pazienza e amorevolezza agli umili lavori contadini: «E le semente curi, e le floride/ viti rassegni, pampane e grappoli/ […] o poti i rari rosai che recano/ pii chi le prime rose chi l’ultime,/ o leghi i crisantemi e i cespi/ de’ glauchi garofani crespi». Ecco, io direi che proprio questo è il gesto con cui Luciana rappresenta i suoi gerani, i suoi garofani, le sue viole, un gesto di cura per la fragilità e bellezza di quei fiori, testimoniata dalla pazienza e amorevolezza del segno grafico. Si sente infatti che Luciana si è presa tutto il tempo necessario e giusto per raffigurare quei fiori, e che in fondo ha dedicato a loro la stessa attenzione che si potrebbe dedicare ad una persona conosciuta e amata allorché la si ritrae. Ecco perché parlerei di ritratti di fiori piuttosto che di nature morte.
.
![]() .
E questo spiega anche una scelta che ha fatto Luciana e che segna una notevole differenza dalle poesie di Pascoli a cui pure lei si ispira. Voglio dire che mentre le pratoline, le viole, i gerani, gli anemoni, i gelsomini di Pascoli erano colti come parti integranti di un paesaggio, di un contesto, anche antropologico, più grande, Luciana ha preso quei fiori, li ha distaccati da quel contesto, e ce li ha messi davanti in primissimo piano. Vedo in questo ancora una volta qualcosa di più e di diverso da un involontario omaggio al genere della natura morta, che prevede per statuto che i fiori e la frutta vengano sempre dipinti ‘fuori contesto’. Vedo in questa scelta anche e soprattutto il riconoscimento che quelle creature sono realmente state separate dal resto del loro mondo. Non esistono più, se non come ruderi, i grandi casolari, le aie, le distese a perdita d’occhio dei campi, le Romagne e le Irlande di un tempo, ma ancora esistono qui e lì, un po’ sperduti, un po’ vergognosi, i bucaneve, le pratoline, i ciclamini, e gli altri. Che in un certo senso è tutto ciò che ci rimane di quell’universo. Perciò ogni volta che ci imbattiamo in questi umili fiori è come se essi evocassero il grande mondo di cui facevano parte. Luciana ci invita a guardarli con questo spirito. Uno spirito che non è nostalgico, che non è idillico o estetizzante, ma che certo è amorevole e pieno di preoccupazione e cura. Forse è per questo che io colgo in queste opere quell’aura di malinconia soffusa di cui prima dicevo. Del mondo naturale ricco e variegato che ci ha raccontato il Pascoli è rimasto ben poco, sono rimasti questi poveri e bellissimi fiori, che qui si mettono in posa per noi, perché non ce li dimentichiamo.
Stefano Brugnolo
![]()
|